Un borgo è fatto di persone e le persone sono fatte di storie, ogni storia racconta di mestieri, fatiche, vite di donne, uomini, figli, famiglie e case, mezun e grange (antiche abitazioni dell’architettura alpina) chiese e cappelle, stagioni e tradizioni.

12 sagome rappresentative della vita di una volta collocate nel Borgo Vecchio

Passeggiando lungo il Borgo Vecchio di Bardonecchia ci si imbatte in dodici sagome evocative di altrettanti personaggi che lo hanno abitato in passato: Giovanni Giolitti, Gilin Gendre, Pauline Cecile Barth, un montanaro, un oste, un fornaio, un sarto, una merciaia, una pattinatrice, una nonna, una ragazza e i novelli sposi.

Residenti e turisti sono stati invitati a scrivere un racconto di fantasia sui personaggi che hanno abitato in passato il nostro paese.

 

 

Ecco i racconti…

La Panettiera di Lydia Garcin

La giornata era lunga, fin troppo lunga. Stancante ma adempiente.
Si svegliava ancora prima che il gallo cantasse (anzi era lei che lo svegliava per prendere le uova delle galline), quando il sole nel cielo c’era solo nei sogni di chi dormiva beatamente.
Viveva in una piccola casa col marito e coi due figli, stanca preparava loro la colazione per quando si sarebbero svegliati. Il marito lavorava la terra, in modo da poter fornire farina all’attività della moglie. I figli invece sbrigavano le faccende che trovavano di giorno in giorno, spesso però andavano al pascolo.
Usciva di casa… l’aria frizzante pungeva le guance. La strada da casa fino al forno era corta, ma bastava per prendere freddo.
Arrivata, la panettiera, dal paese tanto amata, si metteva subito all’opera. Tra olio di gomito e buona volontà, impastava. Impastava, per il pane, per la pasta, per i biscotti, per vivere. E mentre impastava; cantava pensando ai bambini che nel giro di poche ore avrebbero popolato la panetteria presentandosi educatamente alla porta, per comprare caramelle sfuse.
Era un lavoro sfiancante, però le piaceva.
Infornare gli impasti e guardarli crescere, marroncini e caldi, mentre un buon profumo invadeva la panetteria e l’animo si scaldava.
Ormai era tradizione della famiglia, era più che un mestiere; era stile di vita. Persino durante la guerra suo papà aveva servito tante famiglie devastate dalle bombe e dall’odio, e con coraggio aveva anche sfornato moltissimo pane sotto le minacce spaventose dei nazisti.
Questo profumo può sembrare superfluo per chi non lo conosce; ma per la panettiera era l’odore di vita.
Grano, acqua, sale, uova… Semplicissimi ingredienti che nei secoli hanno sfamato centinaia di bocche… La panettiera, incantata, pensava.
Giulia: il suo sogno era aprire una panetteria a Torino, con la sua famiglia. Non ci era mai stata ma se la immaginava regale, elegante. Le donne dalle lunghe pellicce con i cagnolini, gli uomini puliti e con il completo elegante. I bambini ben vestiti e le carrozze elaborate, trainate da magnifici cavalli bianchi. Così vedeva Torino.
Ma non provava; non lasciava il suo amato borgo; le montagne, le facce piene di gioia dei clienti.
La pelle scura e sciupata dal sole, la sporcizia sotto le unghie dalle dure giornate di lavoro nei campi, i campanacci delle mucche e l’abbaiare dei cani. In fondo questo era ciò che si sentiva, amava la gentilezza che si trovava nel borgo. La semplicità e la purezza delle persone la affascinava.
Amava sfamare facce amiche e, talvolta, amava anche spettegolare (caratteristica degna di un paese!). Anche se la sua testa fantasticava, il suo cuore era qui, nella perla delle Alpi.
Il pane ormai pronto veniva sfornato; il cielo era illuminato dal sole e i clienti erano già in coda, sorridenti, aspettavano con ansia la parte principale dei pasti: chi a mezzodì, si sedeva su una roccia, con il pane in una mano e l’Opinel nell’altra, sul ripido versante della montagna le gambe un po’ storte, pascolando le mucche! Anche i figli di Giulia adesso erano al pascolo… pensava spesso a loro mentre lavorava.
Chi invece tornava a casa dopo sfiancanti lavori… Tutti ricorrevano al pane.
Per Giulia era una grande soddisfazione, e, di nascosto, anche lei mangiava volentieri una pagnotta… Forse la sua parte preferita della giornata era:
La vista di nonno e nipotina,
Lei carina con il suo scialle,
Lui con l’orologio a cipolla!
Erano pronti a prendere il pane da portare alla nonna.
Entrando salutavano la panettiera e si mettevano in coda.
Il buon profumino del pane dei biscotti,
Portavano certezze;
Di trovare sicuramente prelibatezze.
Queste emozioni entravano a valanga nel cuore della nipotina del nonno.
Venivano poi serviti,
Giulia sorridendo
Illuminava di gioia tutto il cuore,
Serviva il pane con puro amore!
Era assai generosa,
Regalava biscotti squisiti;
Dalla bambina i suoi preferiti…
Paste di Meliga!
Tutto questo accadeva in pochi minuti,
Che non andranno mai perduti.
La sera Giulia tornava a casa stanca ma felice, dalla sua amata famiglia che ogni sera preparava la cena.
Una preghiera e poi la sera insieme, a condividere la propria giornata. Infine con il cuore scaldato andavano a dormire e tutto si ripeteva… il lavoro di Giulia in panetteria procedeva, da mattina a sera: instancabile. Nei mesi e negli anni, dal passato al futuro, fino alle nostre vite, oggi.

Chiesa Parrocchiale di S.Ippolito a Bardonecchia

Bardonecchia, una storia di passaggio di Anael Saulnier

Ricordo l’arrivo a Bardonecchia alle cinque delle mattino con il treno notturno che partiva da Parigi alle dieci di sera.  D’inverno, con « Le Train Bleu » passavo dalla stazione di Paris Gare de Lyon, con il suo ristorante elegante, alla piccola stazione di Bardonecchia. Si passava velocemente dalla città alla montagna. Con mia mamma si scendeva con i bagagli sui binari nella neve… era sempre un’avventura; spesso eravamo gli unici. Mi svegliavo eccitato all’idea di ritrovare la montagna e i miei nonni, di tornare al parco giochi per bimbi e di prendere la slitta ma, anche, un po’ deluso di non proseguire sul treno fino a Torino. Ogni tanto succedeva di proseguire fino a Torino perché i miei nonni abitavano in città e Bardonecchia era per loro la seconda casa. Una casa che avevano comprato alla fine dei anni 70 per evitare di venire a sciare e ritornare il giorno stesso a Torino.  Mio nonno, appassionato di sci, andava in montagna per sciare e passava la giornata a risalire piste, dormiva in un rifugio vicino alle bestie e scendeva il giorno dopo. Che avventura… ma è anche bello il progresso e l’arrivo degli impianti!

Bardonecchia, prima città italiana provenendo dalla Francia. Quando arrivi a Bardonecchia non vedi tutta l’Italia ma sei in Italia e puoi andare ovunque anche con un po’ d’immaginazione. Il traforo del Frejus è il simbolo di questo passaggio. Da piccolo era per me lungo e paragonabile alla traversata del mare per andare in Inghilterra. Dovevi aspettare qualche minuto prima di vedere la luce del sole e le montagne. Ho sempre stimato gli operai che hanno lavorato nella costruzione del tunnel. Ogni volta che ero alla stazione in rientro per la Francia, ammiravo il monumento dedicato ai costruttori del traforo. Una statua di eroi che mostravano la forza e la determinazione delle personne che volevano creare un passaggio per gli uomini, le idee ed il commercio.

Bardonecchia era il primo luogo di un altro mondo. Una lingua diversa, una polizia diversa e anche treni e ferrovieri diversi. Era un cambiamento che aspettavo. In effetti, prima di attraversare il traforo il treno si fermava circa due ore. Modane era il luogo dell’attesa. L’immobilismo della stazione era amplificato sui binari dei treni. A fianco, nelle case, la gente ancora dormiva ed un treno viaggiatori era fermo sui binari. Gente che dormiva negli alberghi, nei rifugi, nelle case private, negli appartamenti e viaggatori sul treno. Modane, città dove finisce, e Bardonecchia, città dove si ricomincia. Modane è anche fine del viaggio in Italia ed inizio dell’avventura in Francia.  Bardonecchia e Modane, due città che si guardano tutte due nello specchio come due versanti opposti e uguali, due luoghi di passaggio.

Traforo Ferroviario del Frejus

Storia di una ragazza di altri tempi…di Michela di Nunno

Ciao mi chiamo Gilda sono nata a Bardonecchia in una giornata di sole il 25 maggio del 1911 in una casetta di legno.
Quando venni al mondo mia mamma aveva già 3 figli due maschi e una femminuccia e fui accolta dalla famiglia con grande gioia! Non eravamo una famiglia ricca ma stavamo meglio di tante altre.
Mio papà lavorava nella miniera di talco vicino a Fenestrelle e stava fuori per tanti mesi e mia mamma si occupava delle mucche, delle galline e dell’ orto aiutata da Ercole suo papà e da mio fratello più grande Germano.
All’età di 7 anni iniziai a studiare con i miei altri due fratelli tre giorni alla settimana grazie a una maestra della chiesa. Fu la mia fortuna e ringrazio ogni giorno il signore e i miei genitori per questo! La mia vita era spensierata aiutavo mamma nelle faccende di casa e d estate portavo nei pascoli le mucche e impari a fare il burro e il formaggio, la guerra era un lontano ricordo e tutti eravamo ancora vivi anche se le difficoltà erano tante.
All’età di 16 anni però dovevo cercare marito, perché in casa era difficile poterci mantenere tutti, mia sorella si era sposata due anni prima e ora toccava a me, ma non volevo lasciare la mia famiglia.
In quel periodo arrivavano molte persone nuove per i lavori di manutenzione del traforo ferroviario e la chiesa alla domenica era gremita.
Il giorno della domenica delle palme notai un ragazzo che mi fissava, pensavo di avere i capelli in disordine o peggio la gonna sporca e chiesi a mia sorella di controllare che fossi in ordine, ma lei semplicemente mi rispose che avevo attirato l’attenzione del ragazzo. Giorno dopo giorno lo incontravo sempre più spesso fino a che un giorno lo trovai in cortile a parlare con mio padre.
Mi sentii tremare le gambe, la domenica successiva sarebbe venuto a pranzo da noi. Mi sentivo felice euforica ma anche spaventa: cosa sarebbe successo alla mia vita? Mi avrebbe chiesto in moglie? Sarei dovuta andare a vivere lontana? Il mio cuore non avrebbe retto a tale dispiacere.
La domenica arrivò, ero felice di vedere Rodolfo. Ero emozionata i suoi sguardi mi facevano scombussolare, ma ero preoccupata.
Durante il pranzo mio papà iniziò a fargli domande e iniziai a rassicurarmi quando raccontò la sua vita. Era originario dell’Emilia i suoi genitori erano morti e non voleva più tornare al suo paese dove possedeva una tenuta. I ricordi erano troppi e troppo dolorosi.
Durante il dolce chiese la mia mano a mio padre. Aveva acquistato la cascina vicino alla nostra dove saremmo andati a vivere appena sposati.
La mia gioia era immensa come quella della mia famiglia non mi avrebbero persa anzi la famiglia si sarebbe allargata!
Il giorno delle nozze fu elettrizzante ! La cerimonia il mio favoloso vestito nuovo il mio Rodolfo che mi guardava con occhi incantati! E la mia prima fotografia…
Questa fotografia la lascio ai miei figli e ai figli dei miei figli come il mio piccolo tesoro. Questa è la mia storia, una storia come tante …. nell’epoca in cui la terra e la famiglia erano il bene grande che si potesse avere!

Traforo Ferroviario del Frejus